16 124 785 livres à l’intérieur 175 langues
2 047 049 livres numériques à l’intérieur 101 langues
Cela ne vous convient pas ? Aucun souci à se faire ! Vous pouvez renvoyer le produit dans les 30 jours
Impossible de faire fausse route avec un bon d’achat. Le destinataire du cadeau peut choisir ce qu'il veut parmi notre sélection.
Politique de retour sous 30 jours
«Esiste una presenza, nell’oceano, che raramente cogli nelle ore di veglia, e che visualizzi meglio nei sogni. Mentre scivoli nel sonno, le tartarughe cavalcano la curva degli abissi, cercando respiro in superficie e ispirazione dal cielo». Fin dal rapinoso incipit melvilliano, il libro che Carl Safina ha dedicato alle tartarughe, osservandole e studiandole per anni in ogni mare e oceano, si rivela molto più di un trattato biologico-etologico. È una lunga, serrata narrazione visionaria, dove sin dalle prime pagine emerge una protagonista indiscussa, vera guida del viaggio: la Tartaruga Liuto, a un tempo l’esemplare più grande del suo ordine (può sfiorare la tonnellata) e tra quelli più antichi sotto il profilo evolutivo, che fa di lei «l’ultimo dinosauro» sulla Terra. Seguendo «il Leviatano delle tartarughe» nei suoi vertiginosi tragitti migratori – strappi anche di sedicimila chilometri, che riflettono una distribuzione amplissima, dai mari equatoriali alle acque artico-antartiche – Safina ne descrive le sorprendenti caratteristiche: morfologiche, a partire dal guscio «molle» a mosaico; anatomiche, in particolare il complesso sistema cardiovascolare, che armonizza polmoni piccoli e un cuore gigantesco da un battito al minuto; cognitivo-comportamentali, giacché l’intricata routine della stagione riproduttiva è guidata dall’attività ormonale e da un «riuscitissimo cervello da neanche novanta grammi». E alla fine, attraverso una prosa piena di incanto – ben più potente di ogni invettiva morale –, riesce ad elevare via via la sua ricerca ad appassionato memento ecologico: basterebbero le sequenze sulle Liuto uccise dalle plastiche (scambiate per meduse) o sui loro carapaci scheggiati dai machete dei pescatori, per cogliere nella cecità ambientale del Sapiens un ritratto spietato e dolente della sua (auto)distruttività.