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In un'aula giudiziaria, una donna vestita di nero accusa il capomafia che ha fatto ammazzare suo marito e poi – malgrado le avesse garantito che non gli «avrebbero toccato un capello» – anche suo figlio: «Loro sono venuti meno alla legge dell'onore,» dichiara «e perciò anche io mi sento sciolta». Pur di vendicarli ha accettato di infrangere le regole cui si era sempre sottomessa – di rinunciare a vivere. Quella donna è Serafina Battaglia, testimone di giustizia nella Palermo dei primi anni Sessanta, devastata dai regolamenti di conti mafiosi. Ma il testo che ne evoca la «vindice inflessibilità» non è un racconto: è uno dei tre memorabili soggetti che Sciascia, realizzando un'antica vocazione – diventare regista o sceneggiatore –, ha scritto per il cinema, e che sono sinora rimasti inediti. Nata alla fine degli anni Venti nel «piccolo, delizioso teatro» di Racalmuto trasformato in cinematografo, e in seguito febbrilmente alimentata, la sua passione per il cinema è del resto sempre stata travolgente: «per me» ha confessato «il cinema era allora tutto. TUTTO». E ha suscitato, fra il 1958 e il 1989, acute riflessioni affidate ai rari scritti pure qui radunati: sull'erotismo nel cinema, sulla nascita dello star system, sul periglioso rapporto tra opere letterarie e riduzioni cinematografiche. Nonché splendidi ritratti: come quelli di Ivan Mozžuchin, dal volto «affilato, spiritato, di nevrotica malinconia», di Erich von Stroheim, «l'ufficiale austriaco che ha dietro di sé il crollo di un impero», o ancora di Gary Cooper, «eroe della grande e libera America» – vertiginosamente somigliante al sergente americano che nell'estate del 1943 avanzava al centro della strada «fulminata di sole» di un paese della Sicilia.