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«Io sono l'unico che può sistemare le cose». Con queste parole, dal palco della Quicken Loans Arena a Cleveland, Donald Trump inizia la sua corsa alla presidenza degli Stati Uniti d'America il 21 luglio 2016. Sbandierando il motto «Make America great again» e promettendo di riscattare il paese dal declino in cui, a suo dire, è sprofondato, riesce a vincere le elezioni. Ma, fin dal giorno del suo insediamento, il valore universale della Casa Bianca di Trump sembra essere la fedeltà, non al Paese, ma al presidente stesso. Come comandante in capo, Trump ha reinventato la presidenza a propria immagine e somiglianza, lanciato nell'etere raffiche di tweet per comunicare umori e pensieri o per annunciare – con disinvoltura – il licenziamento senza preavviso di collaboratori e membri del gabinetto, ha stravolto alleanze politiche e commerciali, e messo a dura prova le istituzioni americane. Tuttavia sarebbe fin troppo facile etichettare il suo primo mandato come puro caos. Basandosi su centinaia di interviste e inchieste, Philip Rucker e Carol Leonnig, giornalisti del «Washington Post», ripercorrono in queste pagine i primi tre anni dell'amministrazione Trump, in un tour nelle stanze del potere: dallo Studio Ovale, sede di burrascose riunioni e proverbiali sfuriate, all'ufficio del procuratore speciale Robert Mueller, che ha condotto l'indagine sulle interferenze della Russia nelle elezioni del 2016 e sull'ipotesi di reato di abuso di potere e intralcio alla giustizia, i cui risultati hanno innescato la procedura di impeachment.