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In un articolo del 1955 dal titolo “Vacanza di scrittore” il celebre intellettuale giapponese Yukio Mishima espresse per la prima volta la sua devozione all'Hagakure. Confessò di aver iniziato a leggerlo solo durante la guerra e lo definì un libro di impareggiabile moralità, energetico e rasserenante. Iniziò così la fortuna, anche editoriale, di un classico che dalla sua nascita, nei primi anni del Settecento, era circolato segretamente fra i samurai, per essere pubblicato solo nel 1906 e trasformarsi nella (controversa) bibbia dei kamikaze. L'Hagakure, letteralmente “discorso all'ombra delle foglie”, raccoglie le memorie di Yamamoto Tsunetomo, samurai che alla morte del signore, non potendo compiere il suicidio rituale, aveva deciso di ritirarsi dal mondo. Capolavoro che ciclicamente torna alla ribalta (è del 2000 Ghost Dog, il film di Jarmusch, con il suo indimenticabile protagonista), non è solo un codice di condotta per i samurai, ma anche testimonianza di un'epoca mitica e, ancora di più, manifesto morale e spirituale per gli uomini di tutti i tempi.